Anche oggi ci sono i miei passi sulle scale e poi la guardia con il termometro a bloccare l’accesso ai binari. Ed io che ogni volta penso, stai a vedere che uno di questi giorni mi trovano accaldata e mi bloccano. E poi? Che succede? Me lo chiedo spesso. Non mi farebbero salire sul treno suppongo. A quel punto potrei chiamare qualcuno per venirmi a prendere, o forse no. Sono pensieri che si raggruppano in uno spazio infinitesimale perché poi alla fine, almeno fino ad ora, la febbre non l’ho mai avuta e di nuovo sono libera di cercare il mio posto preferito lungo il binario per riposare un po’.
I soliti gesti, stacco le cuffiette dal telefonino, mi siedo e afferro il libro del momento.
Non oggi.
Il ritmo delle mie azioni viene distratto con forza da una vibrazione che avverto intorno a me. E’ come un piccolo spostamento d’aria che riesce ad entrare nella mia testa preannunciando qualcosa che gli occhi ancora non hanno colto.
Poi la vedo. Non ha più di trent’anni per quanto possa capire dall’abbigliamento e dalla postura, anche se con le mascherine indossate non è così semplice stabilire l’età delle persone. Del suo viso riesco a scorgere solo gli occhi. Ma mi bastano, sono grandi, bellissimi e potenti. E soprattutto lucidi e aperti su qualcosa che ancora non ho individuato. Li asciuga piano di tanto in tanto con le dita. Vorrei dirle che ci ricordano da mesi, e così ogni benedetto giorno, di non toccare gli occhi con le mani, anche se spesso lo faccio comunque anch’io.
E’ in piedi, completamente immobile. Elegante come solo una ragazza giovane e bella sa essere. Fissa un punto di fronte a sé senza staccare mai lo sguardo. Decido allora di seguirne la traiettoria perché mi incuriosisce ed affascina allo stesso tempo e soprattutto mi sta trasportando anche senza volerlo all’interno di ciò che prova, lo sento.
Sul binario c’è un treno che non è il mio, diretto a Napoli e sta partendo in ritardo, ritardando di conseguenza anche quello su cui dovrò salire io.
Penso che perlomeno questi anni di pendolarismo mi abbiano insegnato a non gettarmi all’interno del vagone senza guardare la direzione, perché nei primi giorni mi era capitato anche questo.
Oggi il ritardo non mi innervosisce nemmeno un po’.
La guardo e non so se stia dicendo qualcosa, se lo fa non posso capirlo, la bocca è coperta, ma gli occhi no, e lei è con quelli che sta parlando. Non si spostano di un millimetro, li seguo e scorgo di fronte a lei, dietro il finestrino, un altro sguardo. Un ragazzo di una bellezza rara, con capelli ricci e scuri e due immensi occhi neri puntati sulla creatura ferma di fronte a lui, separata solo dal vetro del finestrino.
Non so dire quanto pagherei per sentire cosa si prova ad essere guardate così.
Sono troppo distante per valutare se anche lui sia commosso, ma giurerei di sì perché emette ondate di amore che mi pare facciano stare bene anche me, che nulla so di loro.
Poi, quando il fischio del treno ne annuncia la partenza e contemporaneamente l’inevitabile fine del loro incontro di sguardi, lui compie un gesto che credo non dimenticherò mai.
L’ho visto accadere solo in qualche film, ma loro sono veri.
Alza la sua mano destra e la appoggia al finestrino, aperta, come a volerla toccare. E lei, seppur a distanza apre allo stesso modo la sua per farla combaciare. Lui accarezza il vetro con la punta delle dita e continua a farlo anche mentre il treno parte, senza smettere di guardarla fino a quando non gli è più possibile.
Allora la ragazza incassa il collo fra le scapole e si avvia verso le scale.
Resto io, testimone di qualcosa di importante, ne sono certa, ed immersa in una sensazione di sentimento puro che non riuscirò a scrollarmi di dosso per giorni e giorni. Vorrei abbracciarla, dirle di non piangere e ricordarle quanto sia fortunata per questi attimi di eternità, anche se al momento forse non la pensa così.
Dentro di me si è ormai svegliata la “pazza di casa” ed io non posso farla tacere.
Immagino un addio, una storia d’amore che per un motivo fra mille non possa essere vissuta e che, proprio per tale ragione non morirà mai. E non c’è un addio altrettanto definitivo di quello che viene pronunciato lungo i binari. Tutto nell’universo della stazione assume un peso più difficile da sostenere. Spero solo che si siano abbracciati forte prima che lui salisse. Spero anche che siano riusciti a dirsi tutto, anche se immagino milioni di parole rimaste incastonate per sempre come gemme nelle loro gole.
Dal canto mio so di essere stata testimone di un piccolo miracolo reso possibile da quella mano tesa ad accarezzarsi l’anima. Non c’è nulla di insignificante quando ci si trova di fronte a due ragazzi che si separano per iniziare un altro viaggio.
Oppure chissà, magari non era un addio. A questo preferisco pensare mentre mi asciugo gli occhi con le dita, anche se so benissimo che neppure io dovrei.