Lunedì 22 febbraio 2021
Ciao Fra, che bello questo tuo compleanno lunghissimo. Adoperati pure per farlo durare perché, vorrei farti notare, io e te non lo abbiamo ancora festeggiato. Io sto facendo del mio meglio per tornare ad una sorta di pseudo normalità, perché è di questo che si tratta, ma ce la sto mettendo tutta. Ho impostato la mia settimana lavorativa in modo tale da poter rientrare in ufficio sia su Bologna che su Forlì, colore della zona permettendo. Ad ogni mio rientro mi rendo conto che ci sono colleghi che non sono mai tornati, neppure per un giorno, e mi riferisco a quelli che restano a casa anche se potrebbero fare diversamente. Non voglio ovviamente mettere in discussione i comportamenti altrui, mi conosci abbastanza per sapere che non è nella mia indole. Il fatto che io provi un bisogno assoluto di distinguere la mia casa dal mio luogo di lavoro non significa che si tratti di una regola che debba valere per chiunque. Tuttavia spesso me lo chiedo quanto potrà essere difficile per loro il ritorno ad un ritmo di vita più vicino a quello del passato. E a questo pensiero associo immediatamente un racconto che ho letto un paio di settimane fa su un settimanale che da qualche tempo a questa parte mi sforzo di leggere per non sentirmi sempre fuori dal mondo. L’autore è un israeliano che adoro.
Chiudi gli occhi e prova ad immaginare quello che sto per raccontarti. Lo farò con parole mie.
Il coprifuoco è finito, ma per ragioni insondabili (ma poi neppure tanto) le persone continuano a restare chiuse in casa, da sole oppure con la famiglia, in ogni caso lontane dagli “altri”. Si sono abituate a non andare al lavoro, al cinema, al ristorante, in palestra. Hanno imparato a non abbracciarsi. Il Governo decide di concedere qualche giorno ancora per adattarsi ma quando si rende conto che nulla cambia interviene con la forza e l’esercito inizia a bussare alle porte delle case ordinando alle persone di uscire e di farlo subito. Allora si ritrovano in strada, ferme sul marciapiede alla ricerca di un segnale che faccia loro capire dove dovrebbero andare. Guardano il telefono per cercare indizi. Alcune corrono in preda al panico, in assenza di ricordi su cosa facessero prima durante il giorno. Sono uscite senza portafoglio, occhiali e sigarette. Hanno paura anche solo di sfiorarsi, il cuore batte a mille, la gola è secca e il respiro manca. Poi succede che accanto allo sportello di un bancomat vi sia chi intravede un barbone sporco e maleodorante. E improvvisamente, anche chi brancolava nel buio, ricorda esattamente cosa deve fare. E cioè, passare oltre ed evitare il suo sguardo. Perché ci sono atteggiamenti e gesti che una volta imparati, restano dentro, un po’; come pedalare. Accade così che in un attimo il corpo ricordi tutto e il cuore, che si era ammorbidito un poco quando te ne stavi da solo a pensare che “sarebbe andato tutto bene” e a cantare canzoni dal balcone, torni di pietra in men che non si dica.
Io ti confesso che leggendolo, ho avuto paura. E continuo ad averne ogni volta che ci penso, ma allo stesso tempo mi sforzo di sperare che questa esperienza terrificante, sia stata invece capace di tirare fuori il meglio di noi. Non mi arrendo lo sai. Non posso. Devo farlo anche per il mio Pirulino e per la tua Lucia. Prima di salutarti voglio dirti che c’è una cosa che mi riprometto di fare ogni mattina a Bologna ma ancora non ho trovato il coraggio.
C’è un signore lungo la mia strada che vedo sempre seduto di fronte ad una specie di consolle musicale (da cui la musica mi pare non uscire mai), con un enorme cane color crema steso accanto. Non chiede apertamente la carità, anche se da quanto mi pare di capire la accetta volentieri. Quando passo mi sorride con un “buongiorno dottoressa” ed io uno di questi giorni voglio fermarmi e parlare con lui, chiedergli chi è e perché si trovi lì. Ho capito che è un personaggio piuttosto famoso a Bologna e che la sua è una scelta di vita. E io voglio capire meglio. E quando avrò soddisfatto la mia curiosità te ne parlerò. Per il momento ti lascio ricordandoti che, se ci pensi bene, i tramonti più belli hanno bisogno di un buon numero di nuvole. Bene, le nuvole certamente non mancano, dobbiamo solo aspettare un magnifico tramonto.
Ti abbraccio forte forte.