Giovedì 23 aprile 2020
Eccomi Fra,
oggi l’immagine più potente che mi restituisce la tua lettera è quella di te a piedi scalzi che stendi i panni, il vento che li smuove e Lucia seduta accanto che gioca con le mollette colorate. Ti vedo nitidamente come se fosse la scena di un film, sai quelle ambientazioni americane tipo “La piccola casa nella prateria”? Non so se la conosci perché sei più piccolina di me, ma direi che prima che io mi costruisca scenari irreali nella mente sarebbe il caso che tu mi mandassi davvero qualche foto della campagna in cui sei andata a vivere, anche se spero a breve di poterla vedere di persona. Il vento resta comunque il protagonista indiscusso della mia visione. Scuote i panni, il tuo vestito e i tuoi capelli. E in una visione simile non possono mancare, per quanto mi riguarda, le farfalle.
Proprio di loro vorrei parlarti oggi, perché credo di non averti mai raccontato l’episodio che ha sancito in maniera definitiva il mio amore per questi animali.
Immagina una strada quasi deserta in Messico, il cielo limpido e una lieve brezza. Ero in viaggio con tutta la famiglia diversi anni fa e ricordo, con precisione di sensazioni e colori, il momento esatto in cui ho visto venire incontro alla nostra macchina migliaia di farfalle, tutte insieme e incuranti del fatto che noi ci stavamo muovendo in direzione opposta, contro di loro. Naturalmente non si spostavano e cadevano sul parabrezza, sbattevano sugli specchietti e scivolavano ai lati della macchina. Morivano. E io piangevo, perché non ci potevo credere che venissero a morire così, contro il vetro e senza motivo. Non me lo sono mai dimenticato, ho cercato di capire poi di quale strano fenomeno potesse trattarsi perché erano davvero tantissime, a perdita d’occhio. Ho scoperto che in Messico le farfalle monarca si trasferiscono in autunno partendo dal Nord America, ma non so dirti se in quel momento si trattasse o meno della loro migrazione. Resta il fatto che ci venivano incontro in così tante da non riuscire ad indovinarne il numero e potevo solo guardarle morire senza fare nulla. Di tanto in tanto mi capita di ripensarci. E a partire da allora le ho amate sempre di più.
Fra, mi sono accorta che queste lettere che ti scrivo fanno affiorare in me ricordi di episodi che ho una voglia incredibile di condividere con te, perché tu allora nella mia vita non c’eri. Ed io ho bisogno di metterti di fronte a tutto quello che sono.
Sempre a proposito di vento e per sdrammatizzare un pochino voglio anche raccontarti che qualche giorno fa, mi pare fosse lunedì (di sicuro era il primo giorno di brutto tempo dopo tanto sole), sono partita senza ombrello, come sempre, per andare a fare la spesa e mentre armeggiavo per risalire in macchina, con la mascherina che si era agganciata ad un orecchino, mi è caduta a terra quasi metà del contenuto della mia borsa. Ribadisco, pioveva piuttosto forte, soffiava il vento e il mio inguaribile ottimismo era già stato scalfito dalla sensazione sgradevole causata dalla mascherina, strumento capace di riportarmi esattamente a circa tre anni fa, prima del mio intervento al setto nasale.
Io non ho respirato praticamente per 50 anni di vita, scoprendo cosa volesse dire davvero solo dopo l’operazione e l’idea di sentirmi di nuovo soffocare mi agita. Quando la indosso non ho pace, me la tocco continuamente, la sposto, la risistemo e la allargo facendo probabilmente molti più danni di quanti ne farei se uscissi senza.
Hai presente il modo simpatico che hai tu di dipingere queste situazioni con l’espressione “disagio”? Ecco, mi sono sentita esattamente così e mentre recuperavo in fretta le mie cose da terra, di nuovo mi sei venuta in mente tu.
P.s. la sensitiva Sylvia Brown nel suo libro “Profezie” aveva previsto entro il 2020 mascherine e guanti a causa di una pandemia che avrebbe attaccato i polmoni e che sarebbe scomparsa improvvisamente dopo aver causato panico per mesi.
Voglio crederle.
Ti aspetto, sempre.
Rita