La storia del cappotto

“Nonna mi racconti la storia del cappotto?”
Al suono di una vocina dolce alzo gli occhi dalla mia tazza di latte e li rivolgo ad un musetto luminoso in attesa di una risposta.
Che non arriva.
Come da copione e con l’insistenza tipica dei suoi tre anni, Marco ripete la domanda.
“Nonna mi racconti la storia del cappotto?”
Non c’è niente che non farei per lui, perciò resto ancora un attimo in silenzio pensando che forse si tratta di una delle tante cose che non ricordo. Mi capita infatti sempre più spesso di dimenticare dettagli, nomi, titoli e storie.
Forse mi sono persa anche questa.
Frugo veloce nella memoria, consapevole che in assenza di un inizio di racconto nel breve, la domanda verrà senza dubbio riproposta.
Ormai però ne sono certa.
Racconto storie da sempre. Da sempre ne invento. Ma quella del cappotto proprio non la ricordo.
“Marco lo sai che io non la conosco la storia del cappotto? Perché non me la racconti tu?”
Lui inizia con il suo tenerissimo tono di voce e a suo modo mi racconta la storia del cappotto.
“C’erano una volta il sole e una nuvola. Un giorno decidono di fare una scommessa. Vincerà chi per primo riuscirà a far togliere il cappotto ad un ometto piccolo e vecchierello che sta camminando lento lungo la strada.
La nuvola è convinta di riuscirci grazie a vento e pioggia, ma non sa quanto si sbaglia, perché all’arrivo delle prime folate e delle successive gocce d’acqua, lui chiude il cappotto e lo stringe ancora di più facendolo aderire al corpo.
La nuvola è delusa e il sole, certo fin dal principio della propria vittoria, ne approfitta per spalancare i suoi raggi esplodendo di calore. E a quel punto sì, l’uomo si libera del cappotto”
No, io questa storia non l’ho davvero mai sentita penso, mentre continuo a cercare indizi fra i ricordi.
Un istante di silenzio e arriva la voce del suo papà.
“La storia del cappotto gliela racconto sempre io prima di dormire. Per me lo faceva la nonna tanto tempo fa”
Non mi serve altro per immaginare ogni dettaglio.
La dolcezza di mia mamma, la sua dedizione, le continue attenzioni dedicate ad un bimbo che ha amato più della sua stessa vita.
Il suo bambino, l’unica persona a rimanere salda nella sua mente distrutta dagli anni fino agli ultimi giorni, la presenza che ha atteso di poter salutare prima di lasciarci.
Immagino la sua mente che inventa storie per lui.
E sento, davvero io lo sento, il suo cuore che batte, immenso e pieno d’amore.

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