Luca stava camminando in un corridoio buio e nero e provava a pensarci, cercava di ricordare, ma proprio non riusciva a capire come avesse fatto ad arrivare fin lì. Si sentiva a casa, ma gli era chiaro che non fosse quella casa sua. Per un attimo gli sembrò di scivolare e cadere, ma si sollevò di scatto e riuscì inaspettatamente a restare in piedi. Sulla sua destra aveva una fila di porte, di colore bianco perlescente, talmente luminose da fargli abbassare lo sguardo. Continuò a camminare e ad un certo punto si rese conto che una delle porte era socchiusa; si avvicinò e la spinse piano con due dita ed entrò all’interno del locale; si trovò di fronte una libreria vasta, immensa di cui non riusciva a vedere la fine.
Si avvicinò ai libri sfiorandoli appena.
Luca aveva sempre letto tanto da bambino; sua madre lo obbligava a leggere un libro diverso ogni weekend e, anche se aveva altri compiti per la scuola, doveva dedicare abbastanza tempo anche al libro che lei aveva scelto per lui. Doveva leggere anche durante i weekend che trascorreva col padre; Luca avrebbe voluto giocare tutto il tempo durante quei giorni, insieme ai suoi cugini e ai loro vicini di casa, ma non poteva, doveva assentarsi almeno per qualche ora perché sua madre, al rientro, gli avrebbe chiesto un resoconto, un riassunto e lui qualcosa doveva per forza dire.
Crescendo aveva continuato a leggere, anche se nessuno l’avrebbe mai detto, anche se l’obbligo era scomparso, anche senza il dovere di farlo. Probabilmente era diventata per lui un’esigenza; aveva bisogno di staccarsi dalla realtà ed entrare nel mondo scritto da un altro, almeno per un po’ (così come stai facendo tu adesso, leggendo ciò che ho scritto).
I libri sulle scansie mostravano immagini che Luca riuscì a riconoscere; vedeva libri che aveva già letto e altri di cui aveva solo sentito parlare, libri che avrebbe voluto leggere a breve e altri da cui non si sarebbe mai fatto appassionare.
Ne prese uno in mano. L’immagine di una cascata azzurro cielo lo incuriosì. Aprì la copertina e trovò parole scritte in una lingua che non riuscì a decifrare, decise così di rimetterlo a posto senza impazzire. Continuò a camminare e si trovò accanto ad una vetrata. Vide fuori, in mezzo agli alberi, sua zia che sistemava i fiori. Lei era veramente brava a coltivare piante e gelsomini. Aveva una distesa infinita di gerani che le aveva lasciato la madre e, da anni, continuava a trapiantarli, a dividerli, a mescolarli e otteneva ogni volta piante sempre più colorate, miste, un po’ bianche, un po’ rosse.
A Luca i gerani non piacevano, la zia gliene aveva regalato un vaso da mettere in terrazzo, ma lui se n’era prontamente liberato senza dirglielo.
Provò a bussare al vetro per cercare di salutarla, ma lei non lo guardava e continuava a lavorare. Fu in quel momento che Luca si rese conto che il vetro accanto a lui era crepato e gli era venuta in mente quella volta in cui sua madre, convinta di riuscire a rompere il parabrezza dell’auto, aveva premuto forte sopra di esso con il piede, ma era riuscita soltanto a farlo crepare, in una ragnatela di vetro enorme che aveva fatto arrabbiare suo padre. Forse era stato anche per questo che lui l’aveva lasciata e se n’era andato da casa due settimane dopo. Quel disastro di vetro aveva fatto arrabbiare tanto anche Luca, ma a lei non l’aveva mai detto.
Si avviò lentamente lungo la vetrata, cercando l’apertura che gli avrebbe permesso di raggiungere l’esterno. Trovata una maniglia ci si aggrappò e iniziò a tirare.
Si trovò improvvisamente con i piedi sopra un terreno dissestato; c’erano mattonelle sconnesse, terriccio, pietre e tanta sabbia. Proseguì con passi incerti, guardando a terra per non cadere.
Camminava sotto un loggiato a forma di ferro di cavallo. Ai bordi del sentiero c’erano larghe colonne portanti dalla superficie ruvida e irregolare, in cui erano incastonate farfalle, fiori e altri oggetti di vetro e di porcellana, mentre sul fondo, le stesse colonne sembravano di ceramica fragile, di un bianco lucido che gli aveva fatto pensare al servizio di piatti che, per il matrimonio, gli aveva regalato suo padre.
Era stato un matrimonio triste il suo, senza una villa in affitto e senza catering: non proprio come quelli che vanno in onda su Real Time! Luca avrebbe voluto molto di più, soprattutto dopo il divorzio dei suoi, non avrebbe voluto qualcosa di così semplice, non in comune, vestito comodo e senza cravatta. Susanna, sua moglie, “alle cose in grande” non aveva voluto pensare ed era stato tutto esattamente come aveva deciso lei.
Improvvisamente si sentì un rumore strano, così Luca si girò lentamente, distraendosi dai suoi pensieri, cercando di capire cosa stesse succedendo tra le piante. Chiamò la zia forte, urlando il suo nome, ma nessuno gli rispose. Accanto ad un cespuglio, un mucchio di mattoni e una montagna di sabbia gli fecero capire che qualcuno aveva lasciato a metà un lavoro venuto davvero male. Si avvicinò ad un secchio pieno d’acqua contornato da cianfrusaglie, un badile e una cazzuola mentre il rumore si faceva più forte, tanto da farlo spaventare. Spostò con le mani le foglie e vide un leone gigante che stava scrollando la sua criniera fissandolo negli occhi. Luca non avrebbe mai immaginato di trovare un leone lì, in quel giardino, che in quel momento gli sembrava tanto familiare, ma che in verità non sarebbe riuscito a collocare in nessuna ambientazione conosciuta.
Fece qualche passo indietro lentamente. Si girò e cominciò a correre, ma le gambe gli pesavano, i movimenti si rallentavano, non riusciva a velocizzarsi in alcun modo, probabilmente bloccato dalla paura e il leone gli fu accanto in un momento. Luca decise quindi di nascondersi dietro ad una colonna, ma così facendo fece cadere un rastrello ed una scopa e i leoni diventarono due. Con il frastuono degli attrezzi anche altri leoni si avvicinarono e in un attimo Luca ne fu circondato. Rimase qualche secondo fermo, senza fiatare, cercando una strategia di fuga. Uno spazio tra due grandi creature si fece più largo e ciò gli diede una strana e improbabile speranza di poter in qualche modo riuscire a scappare. Provò nuovamente a correre, visto che gli era sempre sembrato di saperlo fare molto bene: una volta aveva fatto i 100 metri in 14 secondi ed aveva vinto la medaglia di bronzo ai giochi della gioventù!
Apparve sua zia, tranquilla e serena. Gli sorrise salutandolo, dicendogli di non preoccuparsi: i leoni erano ammaestrati e domestici.
Entrarono in casa, come se niente fosse successo, come se fosse stato tutto normale. Luca si rilassò e chiese subito qualcosa da bere.
Si spostarono insieme in soggiorno; per terra c’erano piastrelle libere appoggiate semplicemente al pavimento; Luca si chinò e ne raccolse una notando che, sotto di essa, c’era uno splendido pavimento in marmo. Chiese immediatamente con la zia informazioni su tutti questi lavori lasciati a metà. Lei gli spiegò che la luna non era nella giusta posizione e che per completare le opere sarebbe stato opportuno aspettare. La zia gli offrì ciambelle e tisane e gli disse di coprirsi bene per la sera offrendogli strani consigli sulla ricerca della felicità.
Luca, poco dopo, si ritrovò in auto, senza nemmeno accorgersi di esserci salito. Accanto a lui suo padre che gli parlava di un’organizzazione che aveva deciso di adottare in ufficio: la nuova sistemazione dell’archivio e il cambiamento delle rubriche e delle agende tascabili. Luca ascoltava senza dire niente, si era fissato su una penna che oscillava appoggiata al cruscotto dell’auto, vibrava e saltellava ad ogni curva. Guardò fuori dal finestrino e vide il sole tramontare e le stelle apparire in un secondo. Prese il cellulare e iniziò a girare un video riprendendo il panorama e quella luce rossastra che si mescolava al blu della notte. Ai lati della strada capanne, gabbiotti e roulotte gli fecero venire in mente di quando era bambino. Si ricordò dei suoi cugini, che lo rincorrevano lanciandogli con le mani erba e fiori, per salutarlo e fargli festa, proprio nella stradina affiancata dai capanni dove venivano allevati polli e piccioni e dove erano custoditi i cani maleodoranti da caccia del padre.
Da queste capanne invece arrivavano buoni profumi, si vedevano piccoli focolai e si sentiva la gente seduta attorno ai fuochi ridere e chiacchierare.
Si girò verso suo padre con l’idea di chiedergli suggerimenti per poter essere davvero felice, ma quando lo guardò si accorse che al suo fianco c’era Susanna. Non si era nemmeno accorto del suo arrivo. Sua moglie gli sorrise, con quello sguardo che aveva amato dal primo momento in cui l’aveva vista. Il sorriso di lei però sfumò in un attimo e divenne terrore e preoccupazione; la sua voce ruppe il silenzio come un tuono: “Luca stai attento, a breve inizieranno a sparare”.
I focolai diventarono fuochi enormi, gli uomini intorno alle capanne divennero militari, i panni stesi ad asciugare furono improvvisamente bandiere, le canne da pesca si trasformarono in fucili..
Luca e Susanna accelerarono per poter fuggire, ma ad un certo punto non si trovarono più in auto, stavano inaspettatamente scappando a piedi. Lei aveva i capelli raccolti ora, aveva una treccia di lato, annodata con un elastico color arancio. Si nascosero sotto una carriola rossa che all’inizio era sembrata piccola, ma che era incredibilmente riuscita a coprirli entrambi. Susanna era diversa in quel momento, i capelli erano diventati biondi e gli occhi scuri: probabilmente non era più lei. O almeno questo si era detto Luca.
Così, non essendo più convinto che quella fosse proprio sua moglie, prese il cellulare e provò a chiamarla! Guardò i numeri ma non riusciva a comporli, non riusciva a decifrarli.. la donna gli si fece vicino, sotto quella carriola, in quello spazio ristretto, fu allora che Luca riconobbe il suo odore. Non era proprio lei “fisicamente”, ma era sicuramente lei in quel momento e Luca ne era piacevolmente convinto. Si strinsero forte fino a quando arrivò un uomo molto grosso che, arrabbiato e infastidito, iniziò a protestare perché non riusciva a prelevare con il bancomat. Luca gli si avvicinò per poterlo aiutare, ma in mano l’omone aveva soltanto un tesserino sanitario.. senza carta bancomat e senza una one shot ci sarebbe stato veramente poco da fare.
Susanna prese Luca per mano e lo attirò a se, lui la seguì senza fiatare.
Erano in mezzo ad una giungla adesso; foglie giganti li circondavano, in mezzo ad alberi enormi oltre i quali non si riusciva a guardare. Subito dietro ad una strana pianta innaturale, che aveva pentole e tegami invece di fiori e frutti appesi ai propri rami, trovarono uno scivolo e decisero insieme di buttarsi giù e lasciarsi andare.
Mentre scendevano si tenevano stretti l’uno all’altra. Arrivati in fondo, lei si allontanò veloce e, come una circense, iniziò a saltellare. Faceva piroette e acrobazie, si arrampicava sulle liane facendo coreografie spettacolari! Luca la fissava incantato, battendo le mani orgoglioso e incredibilmente innamorato.
Poco prima gli era sembrato fosse giorno, ma la luce era talmente strana ora, in mezzo a quelle piante, che non lo si poteva capire. Tra le foglie, il muschio e insensate assi di legno vedeva cose inaspettate: presepi, pupazzi di stoffa, oggetti di porcellana, ma gli sembrava tutto piuttosto normale, come se li avesse già visti altre volte: se li ricordava.
Passarono dapprima sotto ad un tunnel di assi e di rami, guardando posate attaccate al soffitto; si trovarono poi in uno spazio aperto e fu lì che apparvero le anatre. Queste arrivarono da ogni direzione; qualcuna starnazzava, qualcuna cantava filastrocche, una gli parlò offendendolo. Iniziò a dirgli che non aveva dimenticato di quella volta in cui l’aveva visto ridere con gli amici e aveva capito che, insieme, stavano sicuramente prendendo in giro lei e così si era offesa. Luca non riusciva a capire tutte le storie di cui l’anatra parlava; cercò di difendersi, ma sinceramente non aveva abbastanza parole e non gli sembrava di poterne trovare.
Fu proprio allora che Susanna, che improvvisamente aveva i capelli rossi e un tatuaggio sul viso, esplose e si trasformò in un enorme dragone: “Luca, volevo dirti che per essere davvero felice devi semplicemente..”, ma lui non riuscì a sentirla. Distratto da un rumore in lontananza, non stava più ad ascoltarla e quello strano suono disarmante si fece largo nella mente: era la sveglia!
Luca aprì gli occhi e al suo fianco trovò Susanna: “Penso di averti sognata” le disse.
“E che cosa facevo?” chiese lei curiosa.
“Non so, io non ricordo mai nulla e in realtà non credo di sognare veramente”.
FINE
Crescono sempre più gli investimenti sugli studi del cervello e sulle tecniche di realtà simulata. Qualcuno sostiene che entro un decennio si potrà cambiare la vita attraverso i sogni.
Uno dei maggiori futurologi, Arthur Charles Clarke, giura che la nostra mente sarà il luogo più bello in cui vivere. “Impareremo a governare la nostra vita manovrando meglio la nostra mente.. Con il tempo, più che allo psicanalista, si ricorrerà all’ingegnere dei sogni”.
Utilissimo è fidarsi delle idee che vengono nel sogno. Nel sogno ci si libera delle costrizione del contingente, la mente diviene una sonda, che va a pescare in quel deposito che è la “mente universale”, un’antenna che capta nell’aria, al di fuori dello spazio e del tempo. Molte conquiste scientifiche sono frutto di sogni.
Erica
13 Marzo 2015 at 11:39 pm (10 anni ago)davvero bello questo racconto,grande fantasia!!ma xche nei sogno non si riescono mai a digitare i numeri di telefono??mannaggia!!
Francesca Francisconi
18 Marzo 2015 at 4:35 pm (10 anni ago)Ciao Erica.. in realtà se, mentre stai sognando, ti rendi conto di essere dentro ad un sogno, riuscirai incredibilmente a leggere e a decifrare i numeri..
è tutta una questione di capacità mentale!! Bisogna lavorarci 🙂
Robai
19 Marzo 2015 at 7:16 am (10 anni ago)Wow, davvero bello e avvincente questo racconto. la prossima volta che sogneró staro più attenta, per rendermi conto che sono in un sogno e riuscire così a fare di tutto.