Decido di restare distesa ancora un poco. Quasi come se il solo fatto di rimanere completamente immobile potesse servire per fermare il piccolo flusso di calore che già avverto fra le gambe. Inizia sempre allo stesso modo. In principio è una minuscola fitta nella parte più profonda di me, poi arriva inevitabile e inconfondibile il calore.
Vorrei continuare a dormire e svegliarmi pensando di aver sognato. Forse è davvero così e per sicurezza mi sforzo di non muovere nemmeno un muscolo. Vaneggio, ma chissà, magari la mia immobilità lo farà riattaccare a me.
Spesso mi interrogo su che cosa ci sia di così sbagliato in me, di così malato. Perché non vogliono restarmi dentro?
Cerco di non svegliarti Andrea, non mi muovo, tu non devi saperlo ancora che nemmeno questa volta riuscirò a regalarti ciò che desideri così tanto. Voglio che nel tuo sonno tu possa pensare a me ancora come ad una madre.
Ti ascolto respirare tranquillo e sono certa che quando aprirai gli occhi non avrò nemmeno bisogno di spiegare. Capirai tutto da solo annusando l’odore della mia paura. Quella paura che provo ogni volta che mi avvicino al bagno e guardo giù verso il minuscolo rivoletto di sangue che testimonia la mia sconfitta.
Continuo a ripetermi che avremo modo di riprovarci ancora e ancora. Ma il mio tempo si restringe e svanisce, non il tuo, solo il mio. Così ogni volta mi sento come se insieme al sangue se ne andasse una piccola porzione di me.
Scusami Andrea, questo ti dirò quando ti sveglierai. Perdonami se non riesco a trattenere questa cellula di te quel tanto che basta per sentirla crescere dentro. Eppure ti amo così tanto.
Poi, mentre inizio a piangere piano, solo dietro agli occhi per ora, mi rendo conto che se mi lascerò andare stavolta non ci sarà un ritorno e non troverò più la strada per tornare da te. Così come sento che posso salvarmi unicamente da sola, non possono nulla le tue parole, che già conosco e neppure i tuoi baci.
Allora ti sfioro piano, con una mano ti accarezzo i capelli e con le labbra cerco le tue. Sembri un bimbo così indifeso nel sonno e non riesco a fare a meno di sorridere ripensando alla nostra prima strampalata notte insieme. Poi ti guardo ancora un attimo con la certezza nel cuore che io il nostro bambino lo vorrei proprio come te, ma evidentemente forze superiori hanno deciso che non è questo il momento e dovrò farmene una ragione.
Così, follemente, in un attimo, decido e mentre apri gli occhi ancora pieni di sonno te lo chiedo. “Andrea ti prego, portami lontano.”