Sono seduta al McDonald’s, resto spesso nel tavolo da sola quando porto mia figlia qui; lei corre su e giù, si arrampica, scende lo scivolo mille volte, tocca gli schermi, colora in modo inappropriato, con un pennarello immaginario attaccato alla punta del suo dito, delle immagini in bianco e nero… io la seguo con lo sguardo, prova ad attaccare bottone con una bambina, poi con un’altra, alla fine trova qualcuno che le da corda, è un bambino poco più grande di lei, sorridono, si mettono a colorare assieme, a lanciare aeroplanini di carta dentro a botti che sprizzano coriandoli e punti ad ogni canestro. Le sorrido, ogni volta che mi guarda per controllare che io sia ancora qui, cresce, si vuole sentire libera, vorrebbe fare quello che le pare, le ho spiegato che a quattro anni non si può, che intanto che vive sotto al mio tetto e che pago io per lei non si può, che intanto che vive in una società, in mezzo ad altra gente non si può, non credo che possa ancora capirlo, ma continuo a provarci.
Mi guardo un po’ intorno, accanto a me una ragazzina incinta, avrà poco più di sedici anni, provo tenerezza; due ragazzini si siedono nel tavolo accanto al mio, avranno poco più di sedici anni pure loro, anche se non ne sono certa, non so più dare l’età alle persone; chiedono le cannucce alla cameriera che gli porta i panini, non pensavo che si potessero avere le cannucce, avrei voluto averne una anche io per bere la mia coca zero senza tutti quei cubetti di ghiaccio che mi sbattono addosso ad ogni sorso, ormai la mia bibita è finita, devo ricordarlo per il prossimo giro.
Iniziano a parlare, parlano di un lavoro che non riesco a capire, un progetto: parlano di futuro e di desideri, mi stupisco, non ricordo quando sia stata l’ultima volta che ho sentito dei loro coetanei parlare di qualcosa di questo genere. Li ascolto, non ho altro da fare, non potrei nemmeno evitarlo volendo, sono talmente vicini e nel locale non c’è quasi nessuno, la radio è bassa e i rumori sono tutti ovattati e lontani. Uno dei due vorrebbe avere tutto subito, vorrebbe saltare la parte in cui si lotta per avere quel che si vuole, vorrebbe saltare la fatica e avere già tutto pronto. Vorrei dirgli: “Che gusto ci sarebbe poi”, ma glielo dice il suo amico, che sembra uno con i piedi per terra, resto zitta mentre lo sento ribatte che gli scoccia aspettare, che gli scoccia faticare, che vorrebbe mandare avanti questa parte di vita e arrivare al giorno in cui può iniziare a godersela…
Vorrei dirgli che se arrivasse in un attimo quel giorno lì non si accorgerebbe di avere tutto perché vorrebbe già dell’altro e dell’altro ancora, che se tutto fosse facile non basterebbe mai e che spesso non basta neanche quando è difficile, perché quando si raggiunge un obbiettivo se ne fissano altri, quando si ottiene quel che si vuole, si inizia a desiderare altro, e poi altro ancora, ma resto zitta, non voglio distruggere i suoi ingenui, giovani e immaturi pensieri. Mi piace l’idea che ci sia ancora qualcuno, e che sempre ci sarà, che pensa che si possa raggiungere la pace avendo quello che si desidera e non si renda ancora conto che quello che si desidera cambia continuamente, che ci sono milioni di imprevisti e che la sazietà non arriva mai.
Io oggi per esempio mi sento appagata, soddisfatta… ieri ho fatto una super festa a cui sono venuti quasi tutti per i 10 anni del mio blog, ho cantato, è andato tutto benissimo, anche se avrei voluto che tutti se ne andassero a casa con in mano un dei miei libri…
Comunque in questo momento mi sento realizzata: penso alla mia vita e mentre guardo la mia bambina correre e ridere, mi sento felice, mi sembra di avere tutto quello di cui ho bisogno. Ma lo so che non è così, che questo momento non durerà, lo so che tra un attimo questa pace non mi basterà, o che succederà qualcosa che la rovinerà, presto inizierò a desiderare qualcos’altro, inizierò a lottare per avere qualcos’altro, a faticare per ottenerlo e questa pace finirà… vorrei dirgli di godersi l’adesso, i suoi anni, la sua salute, la sua spensieratezza, vorrei dirgli di non desiderare soltanto, ma di godere anche di questi desideri qui.
Prendo un caffè e ce ne andiamo, i ragazzini mi sorridono, uno mi ringrazia perché alla fine qualcosa probabilmente l’ho detta.
Il caldo del fuori mi travolte, travolge anche mia figlia, che si spegne e inizia a diventare noiosa, inizia a piangere ad aggrapparsi alle mie gambe, ad urlare che non vuole andare a casa! Piange con un mare di lacrime… mentre a me viene da ridere: ecco cosa spegnerà la mia pace effimera di oggi.
Provo a cercare il ragazzino di prima, non so bene cosa vorrei dirgli, forse vorrei soltanto fargli vedere quello che sto guardando io, ma attorno a noi non c’è nessuno, soltanto una tizia che non ha voglia di farsi i cazzi suoi e mi dice che i bambini devono stare all’asilo tutto il giorno. Provo a sollevare mia figlia, che si oppone e così le sussurro le parole di cui ha bisogno all’orecchio: “Andiamo a casa che ti accendo Frozen”. La pazzia si placa, la bambina si alza, mi prende per mano, con i suoi occhi rossi e stanchi: abbiamo fatto troppo tardi ieri sera, la sua pazzia è colpa mia.
Ma ecco di nuovo la pace che torna, mi sento nuovamente bene, provo a goderne, anche se lo so che nemmeno stavolta durerà.