Il ricordo di te è una sequenza di immagini, diapositive di tutta una vita, fortunatamente spesso arricchite di suoni e, di certo, sempre stracolme di sensazioni che riaffiorano. Ti vedo con il capo chino e concentrato sul tuo uncinetto, intenta a creare montagne di presine colorate e coperte a righe.
La lana la recuperavamo insieme dalla montagna di scarti che il maglificio lasciava a disposizione di tutti. Si partiva insieme di sera al tramonto, quasi una gita verso un luogo magico in cui potevo prendere per me ciò che più mi piaceva. Anche pezzi di maglia colorati scelti a caso, tanto poi sarebbero intervenute le mani della mamma a dare loro un senso.
Tu toccavi la lana, la soppesavi, la sceglievi e il divertimento continuava poi nella creazione dei gomitoli. Vedo una bimba felice e dispettosa che si posizionava con le braccia dentro le matasse e poi iniziava a muoverle, contro i tuoi ordini, facendo finta di danzare e ingarbugliando tutti i fili.
Ti arrabbiavi, ma poi ridevi.
Avevi una frase in dialetto che mi ripetevi sempre e che un giorno riuscirò anche a ricordare. Avevi anche tasche piene di cose del cui valore eri a conoscenza solo tu.
Ti vedo passeggiare nel cortile con il tuo grembiule nero, l’incedere lento ma sereno e il fazzoletto in testa annodato sul collo. Hai lo sguardo tranquillo di un’anima semplice che ha passato la vita combattendo mille lotte senza arrendersi mai e che non teme nulla di ciò che troverà altrove, in un’altra vita. Una fede incrollabile la tua, testimoniata dalle tue dita che stringevano più volte al giorno la corona del rosario, accompagnando il gesto con una litania a fior di labbra, sussurrata, per non disturbare il resto della famiglia.
Sai nonna credo di averla ereditata da te questa continua attenzione a non invadere vite e spazi altrui, questo voler camminare in punta di piedi per non infastidire nessuno. Sei stata tu a scegliere il mio nome, per farne dono alla Santa che amavi di più. Me lo ricordo bene sai il rito di ogni anno. Tornavi dalla Chiesa fiera con le rose benedette. Orgogliosa prendevi i petali e li mettevi nel palmo della mia mano. Chiedevi che li baciassi, poi una breve preghiera e solo dopo lasciavi che io li mangiassi. Da che ho memoria ricordo i petali delle rose rosse ogni 22 maggio, la loro strana consistenza in bocca che diventava profumo per la mia lingua. Ero incredibilmente conscia, anche fin da piccola, della sacralità di questo gesto. Racchiudeva tutto il tuo amore e la speranza, così facendo, di proteggermi dalle cose brutte della vita. Continuo a pensare che dentro a quei petali covasse una forza grande, quella che forse avresti voluto trasmettermi anche con parole, che però non possedevi. Hai sempre voluto proteggermi.
Avrei voluto poterlo fare anche io. Proteggerti dal dolore di perdere un figlio. Perché io lo so che anche se poteva sembrare che tu non capissi, a volte tornavi dal tuo mondo lontano e ti si lacerava il cuore al ricordo e magari era proprio quello il motivo per cui decidevi di rifugiarti di nuovo altrove.
Sai quante cose farei meglio se potessi?
Non mi arrabbierei più pestando i piedi come quando mi dividevi i capelli a metà sulla fronte mettendomi le spille. Tornerei a danzare con te, le braccia dentro le matasse di lana, per poter contemplare con più attenzione quel bellissimo miracolo che, ora lo so, eri tu. Te ne sei andata proprio il 22 maggio. Ma forse è solo una coincidenza, forse…