Lettera 22 Come Keith Jarrett

Martedì 28 luglio 2020

Eccomi Fra,

per prima cosa voglio che tu sappia che io quando ti vedo arrivare sorrido, sempre. Ti confesso che l’idea del libro mi è apparsa in sogno, un sogno ad occhi aperti come spesso mi capita. Ormai lo sai che nel mio essere un pochino Alice nel Paese delle Meraviglie ci stanno anche episodi così. Ho pensato che ne sarebbe valsa la pena e che qualcuno avrebbe pure apprezzato la nostra voglia di illuminare almeno un poco questo strano e incerto periodo. E poi sono felice che a parte il tuo iniziale sconcerto tu mi stia dimostrando tanto entusiasmo. Diciamo che così mi fai sentire meno matta. Mi piace da impazzire l’idea che potremo continuare a rileggere i nostri pensieri a lungo in futuro, senza perderli. E sai non è mica detto che non ne nasca un altro libro poi. Ma per ora pensiamo a questo e al fatto che sapremo ritrovare dentro le pagine tracce di noi che non svaniranno.

Passa sempre tutto così in fretta Fra. Passano i gesti, le parole, sarà ben importante che qualcosa invece resti. Per venire ai tuoi eventi in programma ci credo che tu immaginassi di vivere in maniera diversa sia il battesimo che il compleanno di Lucia. Ma in fin dei conti so che anche tu la pensi esattamente come me sul fatto di dover accettare l’idea di poter fare del nostro meglio con gli strumenti che abbiamo a disposizione. Non so se hai mai sentito parlare della storia del concerto di Keith Jarrett a Colonia nel 1975. Fino a poco tempo fa io non avevo neppure idea di chi fosse, anche perché non so se ti ho mai detto che non amo particolarmente il jazz, ma da quando ho letto di lui, questa cosa del come agire quando tutto sembra andare storto mi è davvero rimasta in testa.

Dunque, il famoso jazzista arrivò a Colonia da Zurigo nel pomeriggio di un gelido giorno di pioggia. Era estremamente stanco, non dormiva da due giorni ed era vittima di un forte mal di schiena. Non appena salì sul palco per le prove trovò ad aspettarlo, invece del prestigioso pianoforte che aveva richiesto, uno strumento piccolo, anonimo e scordato. Come una primadonna stava per andarsene sdegnato, ma non aveva messo nel debito conto l’entusiasmo dell’organizzatrice, una ragazzina di 19 anni che stava inseguendo il sogno della sua vita e non poteva permettersi di lasciarsi scappare il grande jazzista. Lo pregò tanto e a lungo di suonare comunque e deve essere stata davvero convincente perché Jarrett accettò riuscendo a creare una musica sublime.

Suonò in modo incredibile forse proprio perché sapeva di non avere fra le mani lo strumento adatto. Insomma, un’intensità mai sentita, né prima né dopo, che gli consentì di regalare al mondo il più bel concerto della sua vita.

Quello che voglio dirti è che anche noi ora ci troviamo in una situazione simile alla sua, incerte, impaurite e senza gli strumenti giusti. Ed è proprio ora, nel momento esatto in cui tutto pare andare storto che dobbiamo trovare la forza di tirare fuori la nostra bellezza e raccontarla, perché alla fine è questo il meglio che noi possiamo fare. Sento che anche noi nel nostro piccolo stiamo “suonando” una musica più bella di quella di sempre, forse proprio perché siamo consapevoli di non avere fra le mani tutti gli strumenti adatti.

Voglio anche dirti che attendo Marco con una intensità assoluta a cui si aggiunge una certa ansia per Giulia. Ovviamente non glielo confesserò per ora, ma ho cominciato ad avere paura per lei, che è così piccola e dovrà sopportare tanto dolore. Lo sai che è come una figlia per me e quindi credo sia del tutto normale provare questa sensazione. Infine, non ho più sognato bambini che mi scivolano dalle braccia. Lo interpreto come un segno. Sto per diventare nonna, non posso permettermelo e ti prometto che avrò braccia fortissime. Torna presto da me.

Rita

PS Io comunque ti adoro, sia chiaro…

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