Venerdì 5 giugno 2020
La mia Franci sei tu, non credere che io non capisca la sensazione di caos del tuo cervello. Non è così infrequente per me. Anche il mio è perennemente avvolto dal caos. Quella che però intuisco ora leggendo le tue parole è piuttosto una stanchezza, che credo abbia un suo fondamento fisiologico, visto che sono in molti a lamentarla.
Quasi come se il nostro fisico si fosse abituato a quell’inerzia a cui all’inizio aveva reagito negativamente in quanto imposta, ma intorno alla quale poi tutti noi avevamo costruito il nostro rassicurante nido. E quando ci hanno “liberati”, almeno un po’, tutta questa voglia di uscire dal nido alla fine non era poi neppure così pressante. Da qui la fatica di fronte ad ogni azione. E’ così per tutti, puoi starne certa.
Della tua lettera in particolare ho amato l’immagine dei nonni che escono finalmente dal telefono e che per Lucia devono essere stati davvero una visione bellissima. Sai com’è, il mio sentire da nonna è già assai sviluppato.
Ho promesso che ti avrei raccontato un sogno, che in un certo senso ha un proprio collegamento con quello di cui stavamo parlando. E’ piuttosto ricorrente e ciò che più mi inquieta è il fatto che non riesco a capacitarmi del suo essere sempre, e dico sempre, uguale. I dettagli più importanti non mutano. Identica la mia postura, identiche le sensazioni. E’ un sogno semplice, senza colori, dal quale però mi risveglio ogni volta con la sensazione di non riuscire a respirare. Cambiano solo i personaggi, quelli che mi circondano e che, in circostanza sempre diverse, provocano la medesima situazione. La protagonista sono io e devo prendere in braccio un bambino, a volte più piccolo a volte meno. Ragiono sul fatto che ho portato i miei bambini in braccio per anni e quindi dentro al sogno non riesco a spiegarmi la debolezza che sento. Allora mi sforzo di tenermi salda, perché il bambino si muove e io ho paura che mi cada. Ma le braccia non mi rispondono, diventano sempre più molli, quasi non fossero nemmeno più le mie. Ad un certo punto le sento così estranee al mio corpo che lui scivola, pianissimo ma sempre più ed io mi sveglio giusto un istante prima che cada.
Ci vorrebbe un esperto ad interpretare il mio sogno ma non so se glielo voglio raccontare perché mi spaventa un pochino quello che potrebbe dirmi di me. A volte non hai anche tu la sensazione che possa essere un bene non analizzarsi troppo a fondo?
Ecco, era da tanto che volevo dirtelo, non lo sa quasi nessuno.
Per smettere di pensarci ho ora bisogno di parlarti di un argomento che rende leggero il mio cuore e che mi affascina da sempre: la luna. Se ho capito bene stasera avremo un’“eclissi penombrale” che renderà la luna color fragola e io spero proprio di riuscire a godermela anche se credo salirà dietro la collina un pochino oltre l’orario di massimo splendore previsto. Ti ho mai raccontato di quanto sia importante e bella per me la frase “accendimi la luna”? Federica da piccola aveva nella camera una gigantesca luna gialla a falce acquistata all’Ikea ed appesa al muro. Non le piaceva dormire al buio e quella lampada rilasciava un bagliore caldo e poco invadente. Allora ogni sera al momento della buonanotte mi ripeteva sempre la stessa frase, come se io potessi dimenticare un gesto che ormai era diventato parte di me. “Accendimi la luna”, questo mi diceva ogni giorno. Lo ha fatto per anni fino a quando non ha più avuto paura del buio e ora questa luna non è più nemmeno al suo posto. Eppure per me il suono di queste parole ha tuttora un significato dolcissimo e profondo, quello della rassicurazione, della fiducia e dell’amore. Io le accendevo la luna e lei si addormentava tranquilla.
Chiedere a qualcuno di accenderti la luna significa affidarsi, spacchettare il proprio cuore e vederlo pulsare nelle mani di chi ami.
Ora ti mando un bacio e scendo in strada, perché dalla mia finestra riesco a vedere solo un bagliore rosato, ma non trovo traccia di lei.
E ti ricordo, che per accenderti la luna, io ci sarò sempre.
Domani ti vedo…
Notte dolce.
Rita