“Non si entra ed esce dalla vita di una persona come dalle porte scorrevoli di un Grand Hotel”. Ce lo siamo ripetuti spesso, eppure alla fine l’ho fatto. Io, campione assoluto di vorrei ma non posso, non so dirti quante volte ho sognato di stringerti fra le mie braccia fino a farti urlare. Ho fatto l’amore con te nella mia testa, tutte le notti. Ho provato a scoparti solo con il cervello, per non farti troppo male e per non farne anche a me. Ma è stato tutto inutile, tu eri più forte di ogni altro pensiero, dei miei principi e dei miei doveri. Così forte da cercare in qualsiasi modo di tenerti lontana.
Ti ho raccontato bugie, tante.
Ho sfoderato tecniche di seduzione imparate negli anni dei villaggi turistici e poi rimosse per molto tempo. “Le donne non amano essere pressate, ma desiderate in modo sublime, come faccio io”, questo ti dicevo, volevo essere cattivo perché tu ti staccassi da me. Io, che sono uno stronzo, ti ho provocata fino allo sfinimento. Ma tu non cedevi, anche se sentivo che sarebbe bastato ancora molto poco, solo spingere sull’acceleratore un attimo di più.
Non l’ho fatto, non potevo, ma avrei voluto.
Credo di non averti mai davvero considerata come qualcosa di concreto, ma solo un pensiero, una realtà virtuale, che mi faceva compagnia e mi rendeva felice. Stavo bene a ridere con te: sai? Ne avevo bisogno e sentivo un sasso nello stomaco ogni volta che cercavo di eliminarti dalla mia vita. Era un dolore non sentire la tua voce, pensare di non poterla ascoltare mai più. Noi che siamo riusciti a condensare in pochi mesi una vita di complicità. Cerchiamo di essere amici, ti dicevo, torniamo sui binari della normalità. E tu obbediente mi rispondevi che sì, andava bene anche così, pur di tenermi nella tua vita.
Ma poi non mi bastava ed ecco che ricominciavo a stuzzicarti; mi piaceva, e tu ti perdevi in questa giostra in cui non sapevi più come dovevi mostrarti, chi dovevi essere. Se ti fossi lasciata andare, assecondando le mie provocazioni, forse non mi saresti piaciuta più. Ed io ti provocavo, eccome se lo facevo. E sognavo che tu cedessi. Sognavo di cedere io. Poi però mi ricordavo che non potevo farlo. E di nuovo ricominciavo da capo, a chiederti cosa ci trovassi in me di tanto interessante. Volevo a tutti i costi una spiegazione su questo sentimento nato dal niente. Indagavo, curiosavo, giudicavo. Senza capire che non c’erano spiegazioni. Era successo. Ci piacevamo e basta. Ci odoravamo consapevoli di non avere nessun futuro, di vivere in due mondi paralleli che non ci avrebbero permesso di incontrarci mai.
Sei stata un raggio di sole nella tempesta perfetta, il dolce canto della sirena che non avrei mai voluto smettere di ascoltare. Non avevo voglia di tapparmi le orecchie, mi avevi fatto sognare con il linguaggio dei tuoi occhi ed io ero nudo di fronte a te, che avevi così in fretta scardinato la mia falsa ironia, la mia finta serenità.
Ti ho detto ti voglio bene dopo averti parlato una volta, una sola, io che le tappe di solito non le brucio, ma con te mi veniva così: naturale.
Avresti dovuto fermarmi subito, avresti dovuto respingere i miei continui attacchi verbali e la prepotenza dei mie baci immaginati. Io ero certo che ti avrei fatto del male, ti chiedo scusa mille volte, ma non ho saputo trattenermi dal sognarti ogni giorno. Non ho mai immaginato una vita vera, né pensato nemmeno per un attimo di sostituire chi mi sta accanto con te, e ho avuto, per tutto il tempo di questa nostra piccola storia, il terrore di illuderti e farti soffrire.
Ma tu mi adoravi e mi seguivi docile nei miei tentativi di farti diventare quella che non sei. Poi ti fermavi e mi dicevi: “non me l’aspettavo, io non sono così”. Come facevo a non provare amore di fronte a questo tuo candore, alla tua dolcezza? Troppo forte la tentazione di farlo mio quel candore, di veder brillare i tuoi occhi soltanto per me. “Ciao musa”, il buongiorno del mattino te lo davo così. E tu ti scioglievi, docile e indifesa. Ti ho riempita di allusioni e doppi sensi, ho giocato con le tue canotte e i tuoi pigiami, rubandoti sonni preziosi.
Non so ancora come ho fatto a non abbracciarti quando ti ho vista tremare forte mentre mi parlavi. Non avevo il diritto di farti sentire così, di emozionarti tanto. Non ne avevo il diritto, eppure mi piaceva sentire il potere che stavo esercitando su di te. Ma non sarebbe stato giusto andare oltre, per nessuno dei due.
Torniamo amici? Ci stai?
E poi di nuovo io non ci riuscivo perché siamo troppo simili, due anime sensibili e fragili. Impossibile essere amici, anche se so che te lo saresti fatto bastare, e che il bene che mi volevi era più forte del desiderio che suscitavo in te.
Non era destino, chissà magari proverò ad incontrarti in un’altra vita. In questa non sono stato capace di tenerti vicino. Avrei voluto riuscirci credimi, ma dentro di me viveva sempre quella voglia di andare oltre. Non odiarmi, ti prego. Non avere paura di stare male senza di me. Non sarà facile all’inizio lo so. Ero il tuo pusher, quello che ti riforniva ogni giorno di una dose di droga emotiva, qualcosa di allucinogeno che tu non eri pronta a ricevere, ma a cui ti eri abituata in fretta. Assuefazione, ecco dove eravamo arrivati, l’ho capito troppo tardi, avrei dovuto fermarmi prima, prima che tu mi dedicassi la tua adorazione incondizionata.
Ho sbagliato, io non sono quello che credi, non mi conosci e, sotto questa faccia da bravo ragazzo, non sono poi granché. Tu sai vedere delle persone solo il lato buono. Ecco perché ti sei persa per me.
Non odiarmi ti prego, sto solo scegliendo il male minore.
Tu cerca di conservare nel cuore una scorta delle mie parole e di tutti i baci che non ho saputo darti, per quei momenti in cui ti mancherò così forte da aver voglia solo di piangere. Fallo per me, lascia il tuo dolore ad un soffio di vento. Io non sarò poi così lontano.